Industrie culturali e creative: cosa sono?

Industrie culturali e creative

Conoscete le industrie culturali e creative? Sono aziende e attività di cui parlo spesso nel mio blog. Se ne avete già sentito parlare ma non sapete bene di cosa si tratta, questo articolo fa al caso vostro. Vi spiegherò cosa sono, perché sono importanti per l’economia italiana e quali opportunità ci sono per sostenerle.

Quali sono le industrie culturali e creative

Artigianato artistico, design, arti visive: quando parliamo di industrie culturali e creative parliamo di questo. In Italia sono settori importanti per la nostra economia, capaci di muovere investimenti e di creare lavoro. Vediamo un po’meglio, allora, che cosa sono le industrie culturali e creative. Il settore include sia le arti come la danza, la musica, il cinema, sia ambiti legati alla realizzazione di prodotti come l’artigianato artistico, il design, la moda. Iniziamo proprio dall’ultimo settore.

Moda

L’industria della moda include le attività e le aziende che fanno riferimento al settore dell’abbigliamento, del tessile e degli accessori. Vestiti, borse e scarpe, certo, ma anche gioielli, occhiali di design e tessuti. Nonostante la pandemia, le attese per il 2021 sono buone, con un fatturato previsto in crescita del 15,5% su base annua: i dati arrivano dalla Camera della Moda di Milano, che prevede un giro d’affari per la moda italiana di 75,65 miliardi di euro. L’industria della moda si è mossa ad un ritmo sempre più folle negli ultimi vent’anni: più prodotti disponibili, prezzi più bassi, anche due o tre collezioni sul mercato per stagione. L’imperativo era vendere, tenere alti i consumi, cambiare. I dati parlano chiaro: tra il 2000  e il 2016 il livello di produzione è aumentato e i consumatori hanno acquistato sempre di più, con un incremento del 60% nel numero dei capi. (cifre McKinsey). Se prendiamo come riferimento proprio il 2020, il valore delle vendite è aumentato di quattro volte: una crescita incredibile, ma poco sostenibile. L’industria della moda, infatti, ha un impatto ambientale molto pesante. I dati del WWF e della Commissione Europea per gli scorsi anni indicano che:
  • Le emissioni di CO2 del settore della moda raggiungono il 10% delle emissioni globali, più dei voli aerei e dei trasporti marittimi messi insieme;
  • Ogni anno finiscono in mare 0,5 milioni di tonnellate di fibre sintetiche;
  • Solo l’1% dei capi di abbigliamento viene riciclato: il resto finisce in discarica.
Ci sono però dei segnali in controtendenza: le imprese del settore hanno iniziato a rendersi conto della necessità di introdurre modelli di produzione e vendita più consapevoli e sostenibili. A spingere verso la moda sostenibile sono anche i consumatori, che considerano l’impatto sull’ambiente e sulla comunità nelle loro abitudini d’acquisto:
  • Secondo una ricerca pubblicata quest’anno nell’ambito del Master in Fashion, Experience & Design Management della Bocconi, oltre la metà delle persone intervistate dichiara di essere disposto a spendere dal 5 al 20% in più per capi di abbigliamento più sostenibili;
  • Anche le grandi case di moda integrano criteri di sostenibilità nel loro business, dalla scelta delle fibre tessili al confezionamento dei prodotti;
  • Assistiamo ad una vera e propria riscoperta dell’usato, con un’attenzione crescente per il vintage e il second hand, un comparto che, secondo i dati globali CNBC, ha registrato un fatturato di 24 milioni di dollari solo nel 2019.
La moda è da sempre espressione del proprio tempo: le grandi aziende internazionali di settore hanno la possibilità di prendere posizione sui temi di attualità, influenzando il comportamento dell’indotto e dei consumatori. Un potenziale di visibilità concreto, che può contribuire in modo decisivo a sostenere l’ascesa di una moda più sostenibile.

Design

Molto spesso parlando di design si tende a considerare l’aspetto estetico e non la funzionalità di un oggetto: sbagliato. Ho avuto la fortuna di conoscere diversi designer che mi hanno ripetuto fino alla nausea il loro mantra: “Design è stile e funzionalità“. Dietro ad un oggetto di design c’è un’attività strutturata di studio, progettazione e industrializzazione del prodotto: non per nulla facciamo riferimento al design industriale. Il settore più conosciuto del design industriale è il design del mobile: mobili per la casa, ma anche luci e complementi d’arredo. Il comparto del mobile in Italia prima della pandemia comprendeva 18.600 aziende, dando lavoro a quasi 130.000 persone e generando un fatturato di €23 miliardi (Dati Intesa Sanpaolo 2019). Pur pesantemente colpito dalla crisi del Covid-19, è stato uno dei primi settori a risollevarsi registrando trend di crescita già a luglio e agosto 2020 (+ 5% sul mercato interno, + 2% sull’estero). Parlando di design, il secondo settore da considerare è un altro caposaldo del Made in Italy: mi riferisco all’automotive design. Attenzione alle parole, però: il termine non si riferisce solo al design esterno di auto e moto. Fanno parte del settore anche tutti i professionisti che si occupano di ricercare nuove soluzioni di mobilità, urbana e non solo: auto più funzionali, interni più ergonomici, nuovi mezzi di trasporto maneggevoli anche nei piccoli spazi, come i monopattini o i segway. La ricerca nel settore design non si ferma qui: dal  design del packaging al design aeronautico e navale, fino ad arrivare al food design. In una società che premia i prodotti e le soluzioni capaci di coniugare estetica e funzionalità, il design ha lunga vita. Per questo sono molte le contaminazioni con altri settori: artigianato, moda, performing arts.

Artigianato artistico

Quando si parla di industrie culturali e creative è impossibile non considerare l’artigianato artistico. Piccoli laboratori e imprese raffinate e di nicchia realizzano pezzi unici, dal valore estetico elevatissimo: un patrimonio di tecniche, conoscenze e competenze ricchissimo e ad elevata specializzazione. Lo studio più recente sul settore arriva da Confartigianato, che a fine 2019 ha pubblicato uno studio dedicato all’artigianato artistico italiano. I dati risalgono ai primi tre mesi dello stesso anno e indicano che, nel nostro paese, ci sono 288.300 imprese di artigianato artistico, perlopiù piccole e piccolissime. A lavorare nel settore, infatti, sono 800.000 artigiani specializzati. Gli ambiti di attività principali includono la trasformazione alimentare, il settore tessile, la lavorazione artigianale di legno e metalli. Industrie culturali e creative: artigianato artistico Prima o poi a tutti noi è capitato di girare per le vie dei nostri borghi o delle città storiche. Tra i vicoli si respira un’aria familiare: un’atmosfera che parla di legame con il territorio, saper fare antico e passione. La lavorazione del legno in Val Gardena, l’arte della pelletteria fiorentina, le ceramiche di Vietri: gli esempi non si contano, ogni regione italiana può citarne a decine. Competenze e conoscenze che a volte si perpetuano di generazione in generazione, evolvendosi nel tempo grazie alla voglia di crescere e di imparare di più giovani. Un aspetto, questo, valorizzato su più fronti: anche la Carta internazionale dell’artigianato artistico lo sottolinea, riconoscendo il valore tradizionale e la rilevanza storica delle produzioni artigiane ma mettendo in luce il loro collegamento con altri settori e la loro capacità di innovare. Ad esempio, imprese agricole e artigiani collaborano per sviluppare prodotti locali di qualità, mentre sui territori si moltiplicano le proposte turistiche collegate all’artigianato. Il web e le nuove tecnologie – non solo digitali – sostengono il settore: l’artigiano del legno utilizza strumenti sofisticati ad altissima precisione, mentre il liutaio calibra le regolazioni di chitarre e violini con dispositivi elettronici capaci di rilevare il minimo allentamento delle corde. Evoluzione, collaborazione, avvento del digitale: questi elementi trovano spazio anche in altre industrie culturali e creative. Un esempio? Le arti performative, di cui tratteremo ora.

Arti performative, arti visive, musica, letteratura

Signori, tutti in piedi e via agli applausi: stiamo per parlare di danza, teatro, musica, pittura… e non solo! Ma andiamo con ordine, iniziando dalle arti performative, meglio conosciute come performing arts, all’inglese. Si definiscono arti performative  tutte le forme artistiche in cui l’esibizione avviene davanti a un pubblico: teatro, danza e circo, per esempio. E il cinema? Bella domanda: c’è chi lo inserisce tra le arti performative, chi invece preferisce collocarlo tra le arti visive. Il termine arti visive, infatti, si riferisce alle discipline artistiche che hanno come risultato un oggetto visibile. Rientrano nel settore la scultura, la pittura, l’architettura, la fotografia, ma anche le gallerie e i musei dove le opere sono esposte. Vogliamo parlare della musica? Ce ne sarebbe da dire: basta pensare solo a quanti generi musicali ci sono, dalla musica classica all hip hop, passando per il rock e il jazz. Nel 2020, secondo la Global Music Record il mercato musicale mondiale è cresciuto del 7,4%, con un fatturato complessivo di 21,5 miliardi di dollari: merito soprattutto delle piattaforme di streaming, che in Italia hanno raccolto ricavi per 104 milioni di euro (Dati IFPI) Se consideriamo invece  di letteratura, dobbiamo parlare di tutta la filiera editoriale: chi scrive, naturalmente, ma anche gli editori, le aziende di stampa, le librerie e i traduttori. Parlando di traduttori, vi svelo una piccola chicca: sapete che vengono considerati scrittori a tutti gli effetti? Spiegare perché è semplice. Leggete la versione italiana di un racconto o di un romanzo che avete letto in lingua originale: il traduttore riscrive, adatta, crea uno stile. Sarebbe riduttivo pensare al suo lavoro come ad una semplice trasposizione, no? Il musical, il cinema, il teatro sono un esempio magnifico di una delle caratteristiche fondamentali delle industrie culturali e creative: la capacità di integrarsi e collaborare tra loro. Quante persone contribuiscono alla creazione di un musical? Cantanti, ballerini, tecnici, musicisti, scenografi… lo stesso vale per un film, o per una sfilata di moda.
La necessità di contare su diverse competenze e su professionisti capaci di lavorare a progetti culturali e creativi differenti ha fatto nascere nuovi lavori. Ad esempio, quella del sound designer , il sarto dei suoni. Parliamo di un profilo professionale che integra competenze musicali e digitali per comporre brani pensati su misura per mostre d’arte, sfilate, pubblicità. Pensate ai jingle che non riuscite a levarvi dalla testa: ecco, dietro c’è un bravissimo sound designer. Le richieste del mercato e dei consumatori (ma quanto è brutta questa parola per le industrie creative!) e i nuovi modi di seguire l’arte hanno fatto crescere il ruolo del digitale nel settore. Il web, le nuove tecnologie digitali avanzate, le strumentazioni all’avanguardia stanno aprendo le porte del futuro. Grazie al digitale, nascono forme d’arte nuove e sempre più integrate, raggiungendo una platea sempre più vasta.

Quanto sono importanti per il PIL in Italia

12, 5 milioni di persone in tutta Europa: sono queste le cifre che indicano l’impatto del settore culturale e creativo sull’occupazione. A fornirle, la Commissione Europea in uno studio del 2109: in termini di PIL, parliamo del 4,2% su base europea. E in Italia? I dati pre-pandemia dicono che il nostro paese supera queste cifre: i dati parlano del 6,1% del PIL nel 2019. Vi sorprende? Io credo di no: del resto, basta pensare che l’Italia è il paese con il più alto numero di siti UNESCO al mondo insieme alla Cina. E sto parlando della Cina, con un’estensione di nove milioni di chilometri quadrati: trenta volte il nostro paese. Made in Italy industrie creative Le cifre più recenti, ovviamente, risentono dell’effetto della crisi Covid-19 sul settore. Poco più di un mese fa è stata pubblicata un’anticipazione di “Io sono cultura”, il rapporto annuale della Fondazione Symbola sulle industrie culturali e creative. Qual è la situazione?
  • Nel 2019 le industrie culturali e creative occupavano più di un milione e mezzo di persone.
  • Il comparto generava il 5,7% del valore aggiunto italiano, con 90 miliardi di euro, considerando anche i settori collegati, come turismo e comunicazione.
  • Il trend di crescita era pari a 1,4% su base annua: un dato fondamentale, considerando che nello stesso periodo l’economia italiana cresceva dello 0,6%.
Le cifre del 2020 fotografano una realtà diversa:
  • Su 1.800 operatori intervistati, il 44% stima una riduzione di ricavi superiore al 15%, mentre un altro 15% degli operatorii registra perdite superiori al 50%;
  • Si tratta soprattutto dei settori delle arti performative e visive e di musei e siti culturali.
Quali strategie si possono attuare per ripartire? Fondazione Symbola segnala le risorse del Recovery Fund come un’opportunità da non mancare: ne parleremo tra poco. Allo stesso modo, incoraggia i professionisti delle industrie culturali e creative a integrare le proprie competenze per proporre nuovi prodotti culturali. Proposte capaci di stimolare l’intervento del pubblico in modo più diretto, prodotti diffusi attraverso le piattaforme digitali, interventi che coinvolgano comunità e territori: sono questi i trend del futuro. Continuando a considerare il contesto italiano, c’è un settore delle industrie culturali e creative in cui viene riconosciuta l’eccellenza del nostro paese a livello mondiale. Mi riferisco al comparto del lusso: design di alta gamma, moda, artigianato artistico in settori specifici come la gioielleria o il vetro d’arredo. Si tratta di ambiti trainanti per l’economia italiana, soprattutto per quanto riguarda le esportazioni. Si potrebbe obiettare che non tutte le realizzazioni del settore luxory sono riconducibili alle industrie culturali e creative: tuttavia, i due ambiti molte volte si sovrappongono. Secondo le cifre pubblicate da Altagamma, l’associazione che rappresenta i brand del lusso Made in Italy, il settore si sta rapidamente riprendendo dall’effetto della crisi. Si assiste alla ripresa nell’acquisto sia di beni di lusso (si parla di “lusso personale“), sia di esperienze di lusso “lusso esperienziale“). Rispetto al 2020, entrambi i settori sono in crescita, con un aumento del 25-30% per il lusso personale e del 60% -70% per il lusso esperienziale legato a viaggi, eventi, ristorazione.

A quali bandi e finanziamenti possono accedere

Parliamo di opportunità: per dare sostegno ai progetti e agli investimenti delle industrie culturali e creative la Commissione Europea, il governo italiano e le regioni hanno attivato strumenti di finanziamento ad hoc. Non si tratta sempre di finanziamenti a fondo perduto: a volte – soprattutto negli ultimi anni – si preferisce puntare su finanziamenti a tasso agevolato o misti, per risolvere uno dei problemi principali delle industrie culturali e creativi, cioè l’accesso al credito finanziario e bancario. Ma andiamo con ordine, illustrando prima i finanziamenti dell’Unione Europea, poi le misure italiane e infine le opportunità gestite a livello locale. Il programma europeo che, più di ogni altro, finanzia i progetti e le iniziative nel settore culturale e creativo è Creative Europe. La misura viene confermata e ampliata ogni sette anni fin dal duemila, pur cambiando nome. La Commissione Europea, consapevole dell’importanza del settore per l’economia dei paesi membri, lo rifinanzia e aggiunge nuove misure. Quella più conosciuta è destinata a sostenere progetti di cooperazione: si tratta di dotazioni a fondo perduto per promuovere gli scambi e la cooperazione tra artisti a livello europeo, la conoscenza e la circolazione delle opere d’arte, la formazione di settore e le nuove modalità di coinvolgimento del pubblico. La misura “Cooperazione” di Creative Europe sostiene due tipi di iniziative:
  • Progetti di cooperazione su larga scala: progetti promossi da almeno sei organizzazioni (incluse le imprese) provenienti da sei paesi differenti tra quelli ammissibili. Il valore complessivo del progetto può arrivare fino a 2 milioni di euro e le istituzioni europee coprono la metà del budget.
  • Progetti di cooperazione su piccola scala: iniziative che coinvolgono almeno tre partner da tre paesi ammissibili diversi. Il budget è più ridotto e può arrivare al massimo a 200.000 euro. In questo caso, però, il contributo dell’UE è pari al 60% dei costi.
Le cifre degli ultimi anni mostrano che la Commissione approva più o meno un progetto su tre, almeno considerando i progetti di cooperazione su scala ridotta. Il nostro paese – manco a dirlo – finora è al primo posto per progetti presentati. In Italia il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo – MIBACT gestisce diverse misure rivolte alle industrie culturali e creative. Ecco le principali:
  • Risorse per lo spettacolo: il Fondo Unico per lo Spettacolo finanzia istituzioni, associazioni, enti pubblici e privati e imprese che svolgono la loro attività nei settori musicale, teatrale, della danza e delle arti circensi. Il funzionamento della misura è estremamente complesso e richiede uno sforzo di programmazione su pi+ù anni da parte dei proponenti.
  • Finanziamenti per la diffusione del libro e della lettura: grazie ai fondi gestiti dal CEPELL – Centro per il Libro e la Lettura, il Governo italiano eroga contributi a favore di progetti di animazione e promozione della lettura presentati da biblioteche, istituti scolastici di ogni ordine e grado, enti pubblici e altri soggetti ammissibili.
  • Progetti di speciale interesse del Ministero: si tratta di grandi progetti di investimento culturale promossi dal MIBACT insieme alle regioni. Fondi a sostegno di grandi eventi sul territorio, che qualche volta coinvolgono più di una regione.
  • Altri bandi interessano progetti più piccoli: bandi che promuovono la musica jazz, sovvenzioni per cori e bande, contributi per le rievocazioni storiche. Di solito sono misure che si ripetono annualmente con importi limitati.
Industrie culturali e creative: finanziamenti Anche il Recovery Plan recentemente approvato prevede stanziamenti a vantaggio delle industrie culturali e creative, distribuiti tra più misure:
  • 1,1 miliardi di euro sosterranno investimenti per il patrimonio culturale: digitalizzazione delle strutture, efficienza energetica, accessibilità.
  • 1,2 miliardi riguarderanno la valorizzazione di borghi, 600 milioni l’architettura e il paesaggio rurali, 300 milioni i parchi e i giardini storici.
  • 800 milioni finanzieranno interventi antisismici.
  • 300 milioni saranno destinati al rilancio di Cinecittà.
  • 155 milioni sosterranno progetti e iniziative proposti direttamente dagli operatori delle industrie culturali e creative, promuovendo la domanda e la partecipazione culturale.
Per conoscere meglio le opportunità attivabili, bisognerà però attendere la pubblicazione dei primi bandi, previsti non prima dell’ultimo trimestre del 2021. Passando invece al livello regionale e locale, possiamo distinguere tre tipi di finanziamenti:
  • I finanziamenti diretti delle regioni a favore di eventi locali, dai festival teatrali alle grandi manifestazioni che coinvolgono i capoluoghi o l’intero territorio.
  • I contributi o i finanziamenti del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale: sono risorse erogate dall’Unione Europea e gestite dalle regioni. Si tratta di sovvenzioni o finanziamenti agevolati per supportare progetti in ambito culturale e creativo di aziende ed enti pubblici, spesso in collaborazione con altri soggetti quali le imprese turistiche.
  • I contributi delle fondazioni bancarie: a livello locale, molte fondazioni bancarie territoriali erogano risorse a sostegno di progetti culturali promossi dalle ONLUS.
Come avrete capito, il settore delle industrie creative è meravigliosamente vasto e complesso. Del resto, non potrebbe essere altrimenti. Qui si parla di ingegno, passione, creatività umana: impossibile imbrigliarne il potenziale e l’evoluzione. Si tratta di un settore proiettato verso il futuro, con una straordinaria capacità di cogliere il potenziale dell’innovazione  e della contaminazione tra competenze. Pensate ad un mondo senza arte, cultura creatività… no, mi correggo, non lo fate. Non fatelo nemmeno per ipotesi: a me vengono già i brividi.

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